Al lavoro si sente di tutto:
“È un progetto pazzesco.”
“Questa presentazione è incredibile.”
“Il nuovo tool? Game changer.”
Poi apri il file e trovi un Excel con tre colonne storte.
Il rumore delle parole non corrisponde al valore delle cose.
Perché gonfiamo le parole
George Orwell, in Politics and the English Language, scriveva che il linguaggio pomposo serve spesso a nascondere vuoti di pensiero.
Vale anche nelle aziende: parole grandi per riempire vuoti di contenuto.
Uno studio di Harvard (2019) ha rilevato che i manager che usano superlativi costanti sono percepiti come meno credibili dai team.
Tradotto: meno “wow”, più “meh”.
Il rumore nella vita digitale
Viviamo in un mondo di “incredibile”, “epico”, “mai visto prima”.
Neil Postman, in Divertirsi da morire, lo aveva previsto: l’informazione spettacolo crea assuefazione.
Più urli, meno ti ascoltano.
Il problema non è l’entusiasmo: è quando diventa default.
Se tutto è fantastico, niente lo è davvero.
Meno rumore, più sostanza
Comunicare con chiarezza è un atto di cura.
Non significa essere freddi, ma onesti.
- Non dire “progetto rivoluzionario” → spiega in che senso migliora le cose.
- Non scrivere “urgente” in ogni mail → riserva la parola alle vere emergenze.
- Non chiamare “famiglia” un team di lavoro → è un team, ed è già importante così.
Tips OOO per dire meglio
- Semplifica: una frase corta è più forte di tre lunghe.
- Evita inflazione di aggettivi: se serve un superlativo, usalo una volta sola.
- Fatti capire da tua nonna: se lei non capisce, forse non è così chiaro.
- Ascolta: meno parole = più spazio all’altro.
Nota ironica
Un giorno capiremo che “rivoluzionario” era il primo che ha messo la moka sul fuoco.
Il resto sono solo aggiornamenti di sistema.
Conclusione
Less noise, more sense.
Meno rumore non significa meno passione: significa più rispetto, più chiarezza, più verità.
E in un mondo che urla, chi parla piano si sente meglio.

Lascia un commento