La messa è finita, ma la riunione continua

Perché i meeting non servono a decidere, ma a rassicurare

Ore 10:01. Link di Teams.
Il titolo dice “allineamento veloce”, ma già sai che non finirà mai prima delle 11:30.
Schermi divisi in griglie, volti stanchi, qualcuno che sorride solo per riempire il silenzio. Il rito comincia: un’agenda vaga, un giro di tavolo infinito, le solite slide. Tutti presenti, nessuno davvero lì.

Il medioevo aveva le processioni religiose… noi abbiamo le riunioni. Entrambe servono allo stesso scopo: esorcizzare l’ansia. Non fermare la peste, ma almeno illuderci che stiamo facendo qualcosa.

La riunione non è (quasi mai) uno strumento di decisione. È una liturgia. Una messa laica in cui recitiamo ruoli, facciamo atto di presenza, rassicuriamo noi stessi che il lavoro ha una direzione.
Per questo si dice spesso “è importante esserci”: non perché serva davvero il tuo contributo, ma perché la tua assenza romperebbe l’illusione di comunità.

Il capitalismo flessibile ci ha tolto la stabilità: progetti brevi, team che cambiano, identità lavorative sempre provvisorie. La riunione allora diventa un piccolo placebo: non serve a decidere, ma a darci l’illusione di continuità. Non importa se non concludiamo nulla, almeno sembriamo uniti.

Il vero obiettivo non è decidere, ma produrre la sensazione che una decisione, prima o poi, arriverà.


Il costo nascosto

Ogni anno miliardi di ore vengono bruciate in meeting inutili. Lo dicono i report di McKinsey (circa il 60% dei dirigenti afferma che almeno la metà del tempo dedicato a prendere decisioni è inefficace), lo dicono gli studi sul tempo perso. Ma non servono statistiche: basta guardare i volti dei colleghi.
C’è chi annuisce in loop, chi disegna scarabocchi sul quaderno, chi si è aperto un file Excel solo per sembrare occupato.

La verità è scomoda: la riunione infinita non è inefficienza, è potere.
È lo spazio in cui chi detiene la parola mostra di guidare il gruppo, in cui si stabilisce chi occupa il tempo altrui. Michel Foucault parlerebbe di “dispositivo di controllo”. Noi lo viviamo come teatro aziendale: scenografie di PowerPoint, copioni di status update, pubblico obbligato.


Comicità involontaria

A volte le riunioni sono persino comiche, ma di una comicità triste.
Quante volte abbiamo sentito dire “sarò breve” come incipit di un monologo da mezz’ora?
Quante volte “allineamento veloce” si è trasformato in dibattito sterile tra due persone mentre gli altri 18 fissavano il vuoto?
The Office ci ha fatto ridere su questo, ma la verità è che ogni ufficio ha il suo Michael Scott. E a volte, purtroppo, siamo noi.

Il problema è che non si ride davvero. Ogni volta che usciamo da una riunione inutile, non portiamo a casa chiarezza: portiamo frustrazione. E soprattutto, la certezza che presto ci sarà… un’altra riunione.


L’illusione del fare

Byung-Chul Han, in La società della stanchezza, scrive che oggi non è più il padrone a sfruttarci: siamo noi stessi. Nessuno ci obbliga a restare tre ore connessi di fila, eppure lo facciamo. Perché dire di no è diventato più difficile che subire.

La riunione diventa così la forma più elegante di auto-punizione: siamo prigionieri e carcerieri allo stesso tempo.


Perché non riusciamo a dirne basta

Perché non eliminiamo le riunioni? Perché continuiamo a caderci dentro?
La risposta è che ci rassicurano. Senza riunioni, dovremmo agire davvero, prendere rischi, firmare decisioni. Con le riunioni, possiamo rimandare. Possiamo restare in sospeso, protetti dall’idea che “ci stiamo lavorando”.

In un certo senso, è un meccanismo di difesa. Se le cose vanno male, potremo dire: “Ne abbiamo parlato, eravamo allineati.” È un’assicurazione collettiva, non un atto produttivo.


Una via d’uscita (forse)

Ridurre le riunioni non significa eliminare il confronto. Significa distinguere il necessario dal rituale.
– Riunirsi per decidere, non per “condividere”.
– Parlare in tre, non in trenta.
– Usare un’email quando bastano tre righe.

Jeff Bezos aveva la regola delle 2 pizze, oggi non basterebbero nemmeno 2 pizzerie, ma questa è un’altra storia…

👉 Se servono due pizze, è già troppo tardi


È avere il coraggio di dire no.
Non per maleducazione, ma per rispetto.
Del nostro tempo, e di quello degli altri.

Perché, se ci pensi, la vita non è altro che una serie di riunioni finite troppo tardi.
E alcune, le più importanti, non dovrebbero avere un link su Teams.

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